La primavera era sul finire,
l’aria si faceva sempre più calda e Parigi bruciava… bruciava per
il caldo …bruciava nei cuori del popolo . Tutto taceva ancora, persino
gli uccelli, l’aria era pesante, il sole era una luce che a stento penetrava
le nubi grigie, persino i profumi erano come svaniti…tutto era immobile…tutto
era bloccato…
Anche il cuore di Oscar era
bloccato…come il suo corpo fra le lenzuola, era sveglia ma non voleva alzarsi,
imprigionata dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dalle illusioni spezzate…da
una tristezza che da anni la accompagnava; anzi in quel momento si chiedeva
se la tristezza avesse mai smesso di accompagnarla. Era nel letto distesa,
fissava il baldacchino
…Oscar alzati…non è
da te poltrire…non è da te aspettare che ti vengano a svegliare…perché
non vuoi uscire da questa stanza
…che stupida che sono…ormai
parlo a me stessa come se fosse un’altra persona… come se dentro di me
ci fosse un’altra persona
…persona?essere umano?
…una donna…
Piegò il viso da un
lato, come volesse distogliere lo sguardo da se stessa, dalla donna che
era, che ormai sapeva di essere, vide l’armadio semichiuso: uscivano dei
lembi di stoffa…sulle prime Oscar non riconobbe che vestiti fossero, non
vi faceva caso, vedeva ma non guardava…poi li riconobbe e ammise che il
destino associa eventi e cose con la più spietata ironia. Dall’armadio
riccamente intarsiato di legno scuro si intravedevano brillare delle stoffe,
stoffe ricche, luminose che riportarono Oscar indietro nel tempo, indietro
nella sua anima. Il vestito da ballo, l’unico vestito femminile che avesse
mai indossato, il vestito per Fersen, il vestito della vergogna…il vestito
che divenne prova della sua follia e di un’illusione che si spense in poche
semplici parole…il mio migliore amico…beffa del destino…accanto
vi era la sua alta uniforme, che indossò per ballare…per ballare
con la regina, la sua regina che avrebbe protetto da tutto e da tutti anche
da se stessa…e così fece.
Oscar si alzò dal letto,
indossava una semplice camicia di lino.
Volle toccare quelle stoffe,
volle toccare il suo passato, volle toccare quei ricordi d’amore…l’amore
per Fersen, l’amore per la regina…aprì le ante dell’armadio e vide
i suoi vestiti maschili, le sue uniformi, quella che era stata delle guardie
reali, e quella del suo odierno incarico: l’uniforme dei soldati della
guardia di Parigi…la sfiorò
…anche questa è la
prova della mia fuga…da Andrè…da me stessa…da un noi che credevo
non potesse essere mai pronunciato…
abbassò lo sguardo triste,
sconfitta da se stessa e dal suo passato.
Improvvisamente un dolore profondo
la colpì
…quella camicia…quella camicia
bianca…
si inginocchiò e prese
dal fondo dell’armadio quella che era stata una camicia di seta bianca,
era ingrigita, perché non era stata più lavata, era strappata….Oscar
sospirò il nome di Andrè..
Non l’ho mai buttata…l’ho
conservata …perché? Anche questa è una prova, una prova del
passato?… una scelta che non ho mai fatto…quella di spogliarmi del mio
orgoglio…quella di ammettere di essere una rosa bianca…
Strinse quella camicia al seno
ed una lacrima scese lungo il suo viso, una lacrima che racchiudeva il
dolore, la tristezza di tanti anni, il rifiuto dell’amore, racchiudeva
le immagini sbiadite di Oscar da bambina, dello sguardo inflessibile del
padre…il generale… delle carezze rubate alla madre, dei balli a corte a
cui partecipava da lontano, della regina, di Fersen…e quella lacrima
racchiudeva non la visione ma la sensazione tangibile alle sue spalle,
in tutti quegl’anni, della presenza silenziosa di Andrè.
Stringeva quella camicia con
tutta se stessa…si voltò e vide la sua stanza, il palcoscenico di
quella notte, il suo sguardo seguiva i fantasmi dei suoi ricordi, quella
scena viveva di nuovo davanti ai suoi occhi…altre volte era successo…ma
mai con quella nostalgia…sì nostalgia…la sensazione lancinante che
quella notte fu l’ultima volta in cui lei ed Andrè avevano avuto
un contatto, un legame…dopo quella notte tutto cambiò…si chiusero
entrambi in loro stessi, nei loro silenzi, si chiusero come Oscar chiuse
quell’armadio che quella mattina era diventato uno scrigno di ricordi,
una prigione per i fantasmi, un tomba in cui voleva seppellire tutto il
suo dolore…
Aveva ancora in mano quella
camicia…e poi improvvisamente la volle indossare, l’impulso fu più
forte di lei…si guardò allo specchio…era …era…bella. I capelli ancora
disordinati dalla notte, la pelle chiara del viso, del collo, del seno
scoperto…e vide i suoi occhi… due fessure di ghiaccio, che si spalancarono
a quella visione nello specchio…ed ebbe paura, paura del tempo che ormai
le era sfuggito dalla mani, la sua vita le era sfuggita dalle mani, non
era mai stata capace di riprenderne il controllo, lei che del controllo
ne aveva fatto la sua legge…sconvolta… rise di sé…
Era stanca, tremendamente stanca,
il dolore, la paura l’avevano consumata…avrebbe voluto, invece, essere
esausta d’amore…
Si spogliò e come per
cancellare tutto quei pensieri prese dell’acqua dalla toilette, si lavò,
si vestì con i primi abiti che trovò accanto, si guardò
allo specchio ancora una volta…lo faceva spesso ormai, quasi volesse essere
sicura di esistere… di essere viva.
La morte … ci pensava spesso,
l’aveva vista da vicino più volte, la morte aveva sfiorato lei ed
Andrè…quella notte a Parigi…quella notte in cui testimone unico
del suo terrore di perdere il compagno di una vita era stato proprio Fersen…
ah il destino come gioca
con noi…siamo delle pedine nelle sue mani…
il destino di avere avuto
un padre come il mio, il destino di aver dovuto accettare l’imposizione
di una vita da uomo, il destino di aver avuto accanto a me tutta la vita
un compagno e di non averlo visto…di non averlo voluto vedere… il destino
di essere stata sorda ai suoi sentimenti, il destino di essermi illusa
dell’amore di un uomo che amava un’altra, il destino che ella fosse la
mia regina, il destino di amare…ora…Andrè e di non poterglielo dire…per
amore…per paura di farlo ancora soffrire…il destino di volerlo proteggere…lui
…
tu Andrè che mi hai
sempre protetto…il destino…ma sarà poi colpa del destino?…
o colpa mia…colpa di non
avere avuto il coraggio di oppormi a mio padre, colpa del mio orgoglio,
del mio rifiuto, della mia paura?…
si avvicinò alla finestra
e lo vide…il mio Andrè…stava lavando i cavalli…era bagnato
e sudato, la camicia sbottonata, era lì concentrato al suo compito…stava
lavando il cavallo di Oscar…lo accarezzava e lo tranquillizzava…premuroso
e dolce ma allo stesso tempo forte e fermo mentre teneva la cavezza del
cavallo.
Oscar lo guardava dalla sua
finestra, toccava il vetro come avesse voluto sfiorarlo, lo ammirava pensando
che quelle braccia non la avrebbero mai più stretta…”scusami
Oscar, giuro su dio che mai più ti farò una cosa del genere”
…quelle parole risuonavano nella sua testa, le sentiva come una condanna
alla sua solitudine…
come rompere questo sortilegio
che ci avvolge…non dico ricevere da te l’amore Andrè…ma almeno tornare
indietro quando eravamo più giovani, quando cavalcavamo insieme,
quando discutevamo sulla lezione del precettore, quando …ricordi…
stringeva la camicia nelle
mani
…camminavamo nei prati di
Arras…
Arras…chissà forse
lì…potremmo recuperare un momento, una parola che riuscivamo a condividere
prima…prima del mio amore ingannevole per Fersen, prima della mia decisione
di non aver più bisogno di te…così ti dissi…
Arras…mi basterebbe ritrovare
un po’ di quel passato…
mi basterebbe…per andare
avanti…
In quel momento Andrè
alzò lo sguardo verso la finestra di Oscar, come se avesse percepito
che la sua donna in quell’istante … lo stesse guardando…ma in lui, quella
era una solo una lontana speranza…
“Andrè” la finestra
si aprì…Andrè abbassò lo sguardo imbarazzato…non
voglio che si accorga…
”Andrè entra di devo
parlare”
“Sì Oscar arrivo”
lei ordina io rispondo…ecco…tutto
qui…ma almeno sento la sua voce che si rivolge a me…a me solo…anche se
è perentoria, dura, fredda come i suoi splendidi occhi azzurri…
Fine 1° parte
Mik